Cremazioni
“Lascia che un rogo purificatore porti a compimento la cremazione del tuo corpo, permettendo così alla natura di completare più rapidamente il suo corso”.
Fuoco come purificazione: questo rappresentava il rito della cremazione per molti popoli antichi. E’ una pratica millenaria quella di cremare il corpo di un defunto che, in alcuni Paesi del mondo –soprattutto in Asia- non ha mai smesso di essere praticata. Per queste culture, bruciare il corpo di un morto rappresenta l’impossibilità di ritornare tra i vivi e di essere purificato per poter accedere ad un livello esistenziale superiore dove la materialità non conta.
In Italia, la cremazione non è molto apprezzata (15% circa dei defunti contro il 36% della media Europea) ma c’è da precisare il fatto che latitano le strutture dove poterla praticare dal momento che queste sono presenti in solo una quarantina di province prevalentemente ubicate nel centro e Nord Italia. Effetto originato anche da precedenti leggi che non permettevano ne la dispersione delle ceneri, ne la loro conservazione in un luogo che non fosse un cimitero.
Limitazioni queste, che sono state eliminate dalla Legge 130/2001 che consente sia la conservazione in ambienti diversi dal cimitero a patto che sia riportato il nome del defunto sull’urna che conserva le sue ceneri; sia di disperdere le ceneri in luoghi aperti (mare, montagna, campagna et) con ovvia esclusione dei centri abitati.
In ambito religioso, la Chiesa Cattolica, che condannava la cremazione con apposita bolla nel 1886, revocò questo divieto nel 1963 e nel Diritto Canonico del 1984 ne viene ribadita la liceità riconfermata dalla CEI nel 2012 nel suo ‘Libro delle Esequie’. Le Chiese Ortodosse, invece, non hanno mai accettato la pratica della cremazione che è ancora fermamente vietata.