Quali sono le origini degli epitaffi?
L’epitaffio (dal greco antico “ciò che sta sopra al sepolcro”) è un’iscrizione funebre realizzata per onorare la memoria di un defunto. Nell’Atene della Grecia antica, l’epitaffio era un’orazione funebre pubblica in onore dei soldati caduti durante l’anno trascorso. A Roma l’epitaffio divenne un’evoluzione della laudatio funebris, il discorso pronunciato da un figlio o da un parente del morto, e fu lì che raggiunse vette altissime di pregio letterario con componimenti come quelli di Marziale. Solo più tardi l’epitaffio è diventato sinonimo delle iscrizioni che si incidono sulle lapidi dei defunti.
Essendo un discorso pronunciato quando il defunto aveva appena esalato l’ultimo respiro, l’epitaffio era un discorso dal tono grave, meditativo, che tesseva le lodi del defunto o che tesseva le lodi della persona in modo che la sua memoria restasse impressa in chi sopravvive. L’idea di incidere l’epitaffio sulla lapide viene proprio da questo desiderio di trasmettere ai posteri la memoria del defunto e tramandare il suo ricordo per sempre nel futuro a chiunque passerò davanti alla sua tomba.
Lo scopo dell’epitaffio, in epoca romana come oggi, è ricordare e onorare il defunto. In epoca romana erano i grandi poeti a cimentarsi con questo genere letterario (Marziale e Catullo ad esempio), oggi invece si possono scegliere brani di autori famosi e non è infrequente che alcuni poeti compongano da soli il loro epitaffio quando sono ancora in vita e molti scelgono di non adottare un tono luttuoso e solenne ma preferiscono comporre epitaffi divertenti. Per il suo carattere di messaggio ai viventi, generalmente l’epitaffio deve avere un elemento che resti impresso nella memoria di chi legge, che faccia pensare o riflettere sulla vita e sul tempo che scorre inesorabile, che dia un significato alla vita e alla morte.